LABORATORIO SUDAFRICA

EDITORIALE GLI ZULU: IL POPOLO-CAVIA E IL TRAMONTO DEGLI STATI NAZIONALI

 

In ogni epoca, nella lunga storia della civiltà umana, è accaduto che una determinata area fosse trasformata, per ragioni di equilibri economici e militari, in un laboratorio a cielo aperto. Così è stato per l’Italia dal 17° al 19° secolo – un’area geografica sbriciolata e fondamentalmente sottoposta al controllo delle grandi monarchie (Spagna, Austria e Francia) che, nella penisola, sperimentavano diversi tipi di approcci diplomatici e militari, allo scopo di mantenere il controllo sui riottosi italiani, cercando di evitare per quanto possibile guerre civili e scontri tra grandi potenze.

La storia del Risorgimento italiano, iniziata con il Congresso di Vienna del 1815 e terminata il 20 settembre del 1870 con la caduta di Roma, ha mostrato che la teoria che Klemens Von Metternich ed altri avevano sviluppato alla fine del ciclone napoleonico non ha retto alla pratica: l’Italia è divenuta nazione, ed ha tuttora una storia importante nell’alveo della comunità internazionale. Il 20° secolo è poi diventato un coacervo di laboratori sperimentali, dovuti soprattutto alla Guerra Fredda: la scissione delle Coree, quella del Vietnam, quella delle due Germanie, le guerre di Siria, Afghanistan e Iraq, ed infine la secessione razziale interna al Sudafrica – che, nonostante profondi mutamenti, dura da oltre un secolo.

Nel 1913, anno dell’indipendenza dal Regno Unito, tra gli accordi del Trattato firmato con Londra c’è l’adesione al Commonwealth e la firma del Land Act: i neri non possono possedere case o terre, e non hanno il diritto di voto: come era accaduto negli Stati Uniti alla fine del 18° secolo, i nativi vengono chiusi nelle riserve ed usati solo come manovalanza per i bianchi[1].

Nel 1948 il Sudafrica vota una legge ancora più severa sul segregazionismo razziale, chiamata Apartheid. Con questa legge, la maggior parte dei diritti costituzionali dei neri vengono aboliti, vengono prese delle misure coercitive per evitare relazioni interrazziali (anche all’interno della comunità nera, tra bantu e zulu) ed in questo modo, per mezzo secolo, la minoranza bianca gestirà l’intera nazione come un’unica terribile prigione, nella quale bastava pochissimo per finire ammazzato a condannato a vita ai lavori forzati[2].

In questo secolo non solo l’Africa, ma il mondo intero cambia profondamente. Quando, nel 1989, si arriva al collasso dell’Unione Sovietica ed alla sua frammentazione interna ed esterna (con la fine della sua sfera d’influenza internazionale), si scopre in modo doloroso che la lezione della Seconda Guerra Mondiale non è stata appresa, o è stata dimenticata: la guerra civile jugoslava dimostra che le etnie sono più forti degli interessi nazionali, e questo vale ancora di più per il Continente Nero, dove i confini nazionali sono stati tracciati con matita e righello nei secoli del colonialismo, senza tenere in nessun conto la realtà delle popolazioni autoctone.

24 giugno 1995: il presidente Nelson Mandela, con la casacca ed il berretto degli Springboks, stringe la mano al capitano della squadra campione del mondo, François Pienaar[3]

Il Sudafrica è uno dei primi paesi a cambiare profondamente: dopo gli anni della ferocia razzista del presidente Pieter Willem Botha, chiamato il Grande Coccodrillo, il nuovo presidente Frederik Willem De Klerk decide che, per permettere all’economia di sopravvivere, sia necessario far cessare l’embargo internazionale che, da anni, pesa gravemente sul benessere della nazione. Inaugurando una fase di transizione, intavola dei negoziati con Nelson Mandela, il rappresentante più famoso e moderato dell’ANC – l’organizzazione che raduna tutte le tribù nere del Sudafrica che lottano per la libertà.

Mandela è da quasi 28 anni in prigione: marxista, fiero membro della famiglia reale Thembu, della tribù Xhosa, nel 1990, insieme a De Klerk, forma un primo governo interrazziale, durante il quale si batte soprattutto per la condanna degli aguzzini dell’Apartheid, ma anche per creare i presupposti di una nazione nella quale bianchi, bantu e zulu possano coesistere in pace[4]. Questo comporta una serie di azioni propositive e di compromessi, raccontati (in parte) in modo epico e romantico in un film del 2009 di Clint Eastwood, “Invictus”, che racconta della Coppa del Mondo di Rugby del 1995 – vinta contro tutti i pronostici da una nazionale mista sudafricana, per la prima volta sotto i colori della nuova bandiera arcobaleno[5].

L’esperimento più complesso introdotto nella nuova costituzione preparata dalla ANC (ora legittimo partito politico) ed il nuovo Partito Democratico (guidato dai bianchi) è quello di aggiungere un quarto potere a quello legislativo del Parlamento, a quello esecutivo del governo ed a quello giudiziario della magistratura: il potere monarchico. In modo crescente, dal 1994 in poi, la Casa Reale Zulu, guidata dal Re Goodwill Zwelithini, in carica dal 1969 fino alla sua morte (2021), ha acquisito il diritto di veto su molte decisioni parlamentari (specie quelle relative alla Provincia del KwaZulu-Natal, all’interno della quale ha il suo centro la monarchia)[6], ha fondato il suo partito (IFP Inkatha Freedom Party[7]), ha ottenuto delle leggi (Black Empowerment Laws[8]) per la redistribuzione dei guadagni delle multinazionali ed ha creato una sua fondazione, la Ingonyama Trust[9], per gestire la sua immensa ricchezza in barba (spesso) alle leggi dello Stato[10].

Mandela è morto prima di vedere il collasso di ciò che lui, con amore, pazienza, intelligenza e moderazione ha contribuito in modo fondamentale a creare: un paese moderno e occidentale guidato dagli africani in armonia con i discendenti dei colonialisti bianchi. Dopo anni di crisi dovuta alla profonda corruzione dei leaders dell’ANC, i nove anni della presidenza di Jacob Zuma sono stati il culmine della parabola discendente: esponente della tribù zulu degli Msholozi, Zuma ha trasformato il potere della criminalità organizzata in un potere alternativo a quello dello Stato. Dopo aver perduto le elezioni del 2018, e soprattutto dopo la morte del Re Zwelithini, Zuma ha lanciato un programma ambizioso e rivoltante per la presa del potere, la rinuncia alla democrazia, lo sfruttamento di tutte le tensioni interne allo scopo di costruire un nuovo Impero.

Non è una cosa che accada senza contraccolpi: persino le multinazionali straniere, che generalmente chiedono stabilità e, per questo, spesso amano i regimi dittatoriali, si trovano adesso sotto il ricatto di gangs di violenza barbarica che, senza nessun controllo, spadroneggiano, minacciano, uccidono. La comunità democratica, specie a causa della profonda debolezza dell’ANC, insita nella corruttela di tutto il suo apparato politico ed amministrativo, soffre e si prepara al peggio. Ed ammonisce giustamente: ciò che oggi sta accadendo al Sudafrica potrebbe accadere ben presto anche altrove – persino in Europa.

 

[1] https://www.history.com/topics/africa/apartheid

[2] https://www.britannica.com/topic/apartheid

[3] https://www.ilpost.it/2013/12/07/mandela-rugby-sudafrica-1995/

[4] Anthony Sampson, “Mandela, the authorized biography”, Harper & Collins, London 2011

[5] https://www.youtube.com/watch?v=yM4_TrGFfwo

[6] https://www.thesouthafrican.com/news/goodwill-zwelithini-five-quick-facts-about-zulu-king/

[7] https://www.ifp.org.za/

[8] https://www.gov.za/faq/finance-business/where-do-i-find-information-broad-based-black-economic-empowerment-bee

[9] http://www.ingonyamatrust.org.za/

[10] https://www.news24.com/News24/Zulu-king-wants-R18m-for-more-palaces-20120905

 

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